"Tutti in vigna!"
Attraverso in macchina le colline per andare a lavorare.
I paesaggi cambiano con le stagioni e il mio occhio oggi cade sulle vigne.
Vigne pronte con i grappoli penzolanti, tutti in ordine come soldatini appesi. C'è una geometria perfetta nella vigna che attira la mia attenzione, c'è una regolarità quasi maniacale che stona con i miei ricordi.
Rivedo grappoli che sono lì pronti ad essere raccolti, altri che non ne vogliono proprio sapere e si sono aggrappati e attorcigliati intorno al fil di ferro del filare, alcuni più in basso, altri più in alto, alcuni nascosti dietro al palo del filare, a sfidare l'occhio più attento e la mano più esperta a non far cadere gli acini, che altrimenti bisogna raccoglierli per non sprecare niente.
Rivedo schiene basse, mani che velocemente riempiono i secchielli, per riempire la "curbela" (gerla) che a sua volta riempirà "l'arbi" (bigoncia) da chi conosce l'arte del sistemare l'uva perché ce ne stia la giusta quantità, senza far cadere nemmeno un grappolo durante lo spostamento con il trattore.
I preparativi iniziavano la settimana prima. Bisognava mettere il mastice agli "arbi", quando questi erano ancora di legno, per non che perdessero il succo. Un lavoro che a volte facevo io. Ricordo l'entusiasmo di iniziare, che presto svaniva per via della posizione scomoda, delle mani appiccicaticce e dalla grandezza della bigoncia, che sembrava infinita.
"E' bellissimo stare dentro l'arbi, ma vedrai il prossimo anno, che sarai più grande, potrai farlo tu!"
dicevo al piccolo cugino, per portarmi avanti nell'opera di persuasione per evitare quell'esperienza che, prima, mi sembrava fantastica.
Mio nonno "preparava" la vigna. Un paio di giorni prima andava a togliere le foglie che coprivano i grappoli: così in vista, i grappoli assaporavano un po' meglio il sole delle giornate ormai più corte e con un ultimo sprint maturavano ancora un po'; allo stesso tempo erano più visibili e quindi più facili da vendemmiare.
Ho pensato a mio nonno, guardando quella vigna tanto perfetta da sembrare finta. Una vigna "in serie".
Ho pensato al nonno che insieme alla nonna per tutto l'anno erano stati dietro ai loro filari, sperando nel tempo e affidandosi al buon Dio fino all'ultimo. Le loro vigne non erano "perfette", ma erano belle e sapevano di "artigianale".
La vendemmia era festa, faticosa sì, ma festa e sono fortunata ad averla vissuta quando ancora ci si poteva aiutare tra amici, vicini, conoscenti.
"Tutti in vigna! "
e ci si avviava
Si era in tanti, quando ero piccola. Io aiuto te, domani tu magari darai una mano a me, una legge non scritta, ma solida e sigillata con quell'idea che "si va avanti insieme e insieme si tira a campare". A volte si finiva mangiando tutti insieme, con grandi tavolate in cui il vino, ovviamente non mancava.
Da bambina ho ricordi di parole, voci, chiacchiericci, tra i filari. A volte qualcuno cantava in italiano o in dialetto. Mani sporche che sanno di uva, ma anche di verderame rimasto sulle foglie.
Da bambina... perché crescendo tutto a poco a poco si è svuotato, è diventato più silenzioso, più noioso, più "una cosa da fare"...più innaturalmente "perfetto", per star dietro alle leggi, ai profitti, alle rese, o forse non so...è semplicemente un "mondo" che non vivo più.
Sono inorridita una volta, un paio di anni fa, davanti ad una vendemmia fatta con "le macchine", che scrollavano e percuotevano i filari con una violenza ed un rumore assordante. Mi sono venuti i brividi e non ci voglio più pensare.
Voglio chiudere gli occhi e pensare a mio nonno:
lui che con il bastone bianco andava in vigna, adagio adagio, accompagnato dal cane, per potare, tirare i tralci, toccare l'uva che cresce
lui che sorrideva e alzava la mano in quel gesto che gli era proprio e che voleva dire "va bene così, la facciamo andare",
lui, sempre sorridente e sereno.
Ve l'ho detto che mio nonno era cieco?